POESIA





L'infinito
di Giacomo Leopardi

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è Non puo' mancare dolce in questo mare.





Io pronuncio il tuo nome                   

Nelle notti oscure,
quando giungono gli astri
a bere nella luna,
e dormono i rami
delle fronde occulte.
Ed io mi sento vuoto
di passione e di musica.
Folle orologio che canta
antiche ore defunte.

Io pronuncio il tuo nome
in questa notte oscura,
e il tuo nome mi suona
più lontano che mai.
Più lontano di tutte le stelle
e più dolente della mite pioggia.

Ti amerò come allora
qualche volta?

Che colpa
ha commesso il mio cuore?
Se la nebbia si scioglie
quale nuova passione mi aspetta?
Sarà tranquilla e pura?
Se potessi sfogliare
con le dita la luna!!

Federico García Lorca








poesia di E. Evtushenko poeta russo contemporaneo


dedicata a Renzo

UOMINI
Non esistono al mondo uomini non interessanti.
I loro destini sono come le storie dei pianeti.
Ognuno ha la sua particolaritá, non ha un pianeta che gli sia simile.

E se uno viveva inosservato e amava questa sua insignificanza,
proprio per la sua insignificanza egli era interessante tra gli uomini.
Ognuno ha il suo segreto mondo personale.
In quel mondo c'é un attimo felice.

C'é in quel mondo l'ora piú orribile,
ma tutto ci resta sconosciuto.

Quando un uomo muore,
muore con lui la sua prima neve,
e il primo bacio e la prima battaglia….                                                                                

Tutto questo egli porta con sé

Rimangono certo i libri,i ponti,
le macchine,le tele dei pittori.

Certo, molto é destinato a restare,
eppur sempre qualcosa se ne va.

É la legge di un gioco spietato.
Non sono uomini che muoiono,ma mondi.

Ricordiamo gli uomini,terrestri e peccatori, ma che sapevamo in fondo di loro
Che sappiamo dei fratelli nostri,degli amici?
Di colei che sola ci appartiene?

E del nostro stesso padre
tutto sapendo non sappiamo nulla.
Gli uomini se ne vanno….
e non tornano piú

Non risorgono i loro mondi segreti.

E ogni volta vorrei gridare ancora
contro questo irrevocabile destino.



VORREI NASCERE IN TUTTI I PAESI

 (di Serghej Evtushenko)

Vorrei nascere in tutti i paesi
perchè la terra stessa, come anguria,
compartisse per me
il suo segreto
e essere tutti i pesci
in tutti gli oceani
e tutti i cani nelle strade del mondo.
Non voglio inchinarmi
davanti a nessun dio, la parte non voglio recitare
di un hippy ortodosso
ma vorrei tuffarmi
in profondità nel Bajkal
e sbuffando
riemergere
nel Missisipi
Vorrei
nel mio mondo adorato e maledetto,
essere un misero cardo
non un curato giacinto,
essere una qualsiasi creatura di diosia pure l’ultima jena rognosa
ma in nessun caso un tiranno
e di un tiranno, nemmeno il gatto;
in nessun caso.
Vorrei essere uomo
in qualsiasi personificazione:
anche torturato in un carcere del Guatemala,
o randagio nei tuguri di Hong-Kong,
o scheletro vivente nel Bangladesh
o misero jurodivyj a Lhasa,
o negro a Capetown,
ma non personificazione della feccia.
Vorrei giacere
sotto il bisturi di tutti i chirurghi del mondo,
essere gobbo, cieco,
provare ogni malattia, ferita, deformità
essere mutilato dalla guerra
raccogliere luride cicche
purché in me non si insinui
il microbo ignobile della superiorità
non vorrei fare parte dell’élite
ma di certo neppure del gregge dei vigliacchi
né dei cani del gregge
né dei pastori che al gregge si conformano,
vorrei essere felicità
ma non a spese degli infelici
vorrei essere libertà, ma non a spese di chi è asservito.
Vorrei amare tutte le donne del mondo
e vorrei essere donna anch’io
magari una volta soltanto…
madre-natura, l’uomo é stato da te defraudato.
Perché non dargli
la maternità?
Se in lui, sotto il cuore, un figlio
si facesse sentire così
senza un perché, certo l’uomo
non sarebbe tanto crudele.
Vorrei essere essenziale – magari una tazza di riso
nelle mani di una vietnamita segnata dal pianto,
o una cipolla nella brodaglia di un carcere di Haiti,
o un vino economico
in una trattoria di terz’ordine napoletana
e un tubetto, anche minuscolo, di formaggio
in orbita lunare;
che mi mangino pure
e mi bevano
purché nella mia morte ci sia una utilità.
Vorrei appartenere a tutte le epoche, far trasecolare la storia tanto da stordirla con la mia impudenza:
della gabbia di Pugacev segherei le sbarre
quale Gavroche introdottosi in Russia
condurrei Nefertiti
a Michajlovskol, sulla trojka di Psi^n
Vorrei cento volte prolungare la durata di un attimo
per potere nello stesso istante
bere alcool con i pescatori nella Lena
baciare a Beirut,
danzare in Guinea, al suono del tam-tam,
scioperare alla “Renault”,
correre dietro a un pallone con i ragazzi di Copacabana, vorrei essere onnilingue, come le acque segrete del sottosuolo
Fare di colpo tutte le professioni
e ottenere così che
un Evtusenko sia semplicemente poeta, un altro, militante clandestino spagnolo, un terzo, uno studente di Berkeley
e un quarto, un cesellatore di Tbilisi.
Un quinto – un maestro elementare in Alaska,
un sesto – un giovane presidente in qualche dove,
anche in Sierra Leone, diciamo,
un settimo -
scuoterebbe soltanto il sonaglio di una carrozza
e il decimo…
il centesimo…
il milionesimo…
Poco per me essere me stesso
tutti, fatemi essere!
E ciascun essere,
in coppia, come si usa.
Ma dio, lesinando la carta carbone
mi ha prodotto in un solo esemplare
nel suo bogizdat.
Ma a dio confonderò le carte. Lo raggirerò!
Avrò mille facce
fino all’ultimo giorno
affinchè la terra rimbombi per causa mia
e i computers impazziscano
per il mio universale censimento.
Vorrei
umanità
lottare su tutte le tue barricate
stringermi ai Pirenei,
coprirmi di sabbia attraverso il Sahara
e accettare la fede della grande fratellanza umana, e fare proprio il volto
di tutta l’umanità.
E quando morirò
sensazionale Villon siberiano
non deponetemi
in terra inglese
o italiana -
ma nella nostra terra russa,
su quella verde, serena collina,
dover per la prima volta io
mi sono sentito tutti.




ARRIVEDERCI BANDIERA ROSSA


Arrivederci, bandiera rossa-
dal Cremlino scivolata giù
non come ti innalzasti,
agile,
lacera,
fiera,
sotto il nostro esecrare
sul fumante reichstag,
sebbene pure allora
intorno all'asta, truffa si attuasse.
Arrivederci bandiera rossa...
eri metà sorella, metà nemica.
Eri in trincea speranza
unanime d'Europa
ma tu di rosso schermo
recingevi il GULAG
e sciagurati tanti
in tuta da carcerati.
Arrivederci, bandiera rossa.
Riposa tu,
distenditi.
E noi ricorderemo quelli che dalle tombe
più non si leveranno.
Gl'ingannati hai condotto
al massacro,
alla strage.
Ricorderanno anche te-
ingannata tu stessa.
Arrivederci, bandiera rossa.
Non ci portasti bene.
Grondavi sangue
e te
noi col sangue togliamo.
Ecco perchè adesso
lacrime non ci sono da detergere,
così brutalmente sferzasti,
con le nappe scarlatte, le pupille.
Arrivederci, bandiera rossa...
il primo passo verso la libertà
lo compimmo d'impulso
sulla nostra bandiera
e su noi stessi,
nella lotta inaspriti.
Che non si calpesti di nuovo
"l'occhialuto" Zivago.
Arrivederci bandiera rossa...
Da te disserra il pugno,
che ti serra di nuovo,
ancora minacciando fratricidio,
quando all'asta
si afferra la marmaglia
o la gente affamata,
confusa dalla retorica.
Arrivederci, bandiera rossa...
Tu fluttui nei sogni,
rimasta una striscia
nel russo tricolore.
Nelle mani dell'azzurrità
e del biancore
forse il colore rosso
del sangue sarà liberato.
Arrivederci, bandiera rossa...
guarda, il nostro tricolore,
che i bari di bandiere
non barino con te!
Possibile anche per te
sia lo stesso giudizio:
pallottole proprie e altrui
ne hanno la seta divorato?
Arrivederci, bandiera rossa...
sin dalla nostra infanzia
noi giocavamo ai "rossi"
e i "bianchi" battevamo forte.
Noi, nati nel paese
che più non c'è,
ma in quell'Atlantide
noi eravamo,
noi amavamo.
Giace la nostra bandiera
nel gran bazar d'Ismajlovo.
La "smerciano" per dollari,
alla meglio.
Non ho preso il Palazzo d'inverno.
Non ho assaltato il reichstag.
Non sono un "Kommunjak".
Ma guardo alla bandiera e piango.




Guardando un tramonto mi gira la testa , è per questo che anche volendo non riesco a rincorrere il sole , sfugge all’orizzonte consapevole che altri lo stanno ad aspettare, all’alba mi fa cucu’ ma io sono ancora a letto e me ne sbatto, e’ giusto?
Ho scritto tre righe per presentare quello che vorrei fosse un luogo di meditazione ed elevazione spirituale e civile. Pensavo di cominciare con Parronchi poeta ermetico del gruppo fiorentino , questi era un credente che metteva in versi la sua fede e le sue angosce, che non mancano nemmeno ai Santi “Padre, passi da me questo calice” disse Gesu’ che certo sapeva dove era la meta, il parronchi nelle sue poesie cerca la meta e forse la trova.


Antiche variazioni sul tempo

O tempo, ce ne andiamo via con te.
Finirai, finiremo. Finiranno
i volti amati e quando sarà spento
quell'ultimo chiarore dietro il monte
chi ripopolerà questo deserto?

Il tempo che la falsa fede invalida
e che la vera fede rende certa
l'avvicendarsi delle colorate
nubi alle nubi grigie che difendono
fino all'ultimo il buio della notte
- fino a che si trasformano nell'oro
vincitore dell'alba - il freddo punge.
Il tempo che alle mura edera aggiunge
e che il nitore delle statue screzia
nondimeno di morte dita allunga.
E se di rughe la bellezza ragna
e la purezza del mattino vela
ombre spente prepara alla campagna
e fa che non sia più tonda la luna
ma di tenebra doppia quell'immagine
incurvandola fino a che si spezza.
Il tempo tomba della giovinezza
il tempo incanto della lontananza
il tempo muto soliloquio d'anni
che vanno verso la discesa dove
ogni umana vicenda s'interrompe,
il tempo che affrettandosi si perde
il tempo che indugiando si guadagna
il tempo costruzione evanescente
e misura più salda del diamante
che punteggia la tua vita di raro
benessere e di errori incancellabili,
il tempo manca a chi tardi si pente.
Il tempo che si avvolge su se stesso
immobile per chi morte desidera
il tempo impercettibile misura
che l'essenziale dal superfluo scinde
né allo scaduto corollari aggiunge,
il tempo che della sua grazia illumina
e inesorabilmente tutto annienta
il tempo indistruttibile alla noia
quanto labile alla felicità

il tempo inesauribile rinasce
ogni anno ogni stagione allo spuntare
d'un'alba incerta tra morire e vivere
tra un desistere e un ricominciare.


Di Parronchi anche questa .

le sue non sono poesie ,
sono coltellate inflitte nel nostro orgoglio,
nella nostra chiusura a riccio che tanti danni arreca a noi medesimi.

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Viviamo insieme per anni, poi a un tratto
non ci vediamo più, siamo lontani,
nebbia scende sui nostri cuori. A volte
volendo ritrovarci
non riusciamo a vincer le distanze
e di tempo e di spazio, smemorati
come fossimo immuni
da rimorsi...

O se tutto
tutto quanto fu nostro fosse vivo
per sempre, stretto in unità, pulsante
nel nostro sangue!




Cireneo

Trambusto.

mi affaccio sulla via
e
con legno sulle spalle
mi ritrovai negletto.








Rainer Maria Rilke

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L'ORTO DEGLI ULIVI
Sotto le grigie fronde Egli salia
- grigio, dissolto, - su per l'uliveto,
premendo a tratti la cinerea fronte
entro le ardenti mani polverose.

«Dopo il tutto, anche ciò. Questa, la fine.
M'è forza andare, pur se spenti ho gli occhi.
E vuoi che affermi, Dio, la tua presenza
nel mentre io stesso più non ti ritrovo?
Più non ti trovo. Non ti trovo in me.
E non negli altri. Non in questa pietra.

Più non ti trovo, no. Solo, son io.
Solo, con tutta la miseria umana,
che a lenir nel tuo nome avevo impreso
(inaudita vergogna!)... E tu, non sei».

Dissero, poi, che un angelo discese...

Un angelo? Perché? La notte, scese.
E sfrascò di tra gli alberi, distratta,
agitando i discepoli nel sonno.
Notte non insueta. All'altre, eguale.

Alle notti infinite, in cui riposa
anche il cane randagio, anche la pietra.
Triste notte qualunque; all'altre, eguale:
prona, in attesa, al rifiorir del giorno.

Che non scendono, no, verso chi prega
supplice, in terra, angeli dal cielo;
non s'accresce la Notte attorno a lui.
Ogni naufrago è solo. E lo abbandona,
fra i marosi, anche il padre; e lo respinge
anche il grembo materno.



Rainer Maria Rilke

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CONVEGNO
M’è dolce indugiarti d'accanto
in questo raccolto tepore.
Rintoccano trepide l'ore
siccome un lontano
rimpianto
Ripeti parole d'amore;
ma piano... ma piano...
che duri l'incanto.

Non so dove sbocchi (che importa?),
ma certo in effluvii di fiori
(non senti?) la porta.
sui vetri protesa, vermiglia,
origlia
la tacita Sera. Siam qui.

Restiamo in silenzio. Là fuori,
nessuno ci pensa così.



Rainer Maria Rilke
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ALLA SOLITUDINE

Solitudine mia beata e santa,
così ricca sei tu, pura ed immensa
come un giardino che si desti all'alba.

Solitudine mia beata e santa!
Tieni sbarrate le tue porte d'oro
sì che attenda, di fuori, ogni altra cosa.









Dietrich Bonhoeffer


dal campo di prigionia tedesco di
Flossenbürg





Chi sono?

Chi sono? Spesso mi dicono
che esco dalla mia cella
sciolto e sereno e saldo
come un signore dal suo castello
Chi sono? Spesso mi dicono
che parlo con i sorveglianti
libero e cordiale e franco
come se avessi da comandare.
Chi sono? Mi dicono anche
che i giorni porto della malasorte
imperturbabile, sorridente e fiero,
come chi è uso alle vittorie.
Davvero sono quello che altri di me dicono?
O son soltanto ciò che io stesso di me so?
Inquieto, nostalgico, malato, come un uccello in gabbia,
boccheggiante per un soffio di vita, come se mi strozzassero,
affamato di fiori, di colori, cinguettii,
assetato di buone parole, di calore umano,
tremante d’ira per l’arbitrio e la minima offesa,
tormentato dall’attesa di grandi cose,
invano trepidante per amici a distanza infinita,
stanco e troppo vuoto per pregare, per pensare, per fare,
fiacco e pronto a dire addio a tutto?
Chi sono? Questo o quello?
Sono forse oggi questo e domani un altro?
Sono entrambi al contempo? Dinanzi agli uomini un ipocrita
e per me stesso un debole piagnucoloso degno di disprezzo?
O forse ciò che è ancora in me assomiglia all’esercito in rotta
che arretra confuso dinanzi a vittoria già ottenuta?
Chi sono? Solitario porsi domande si fa beffe di me.
Chiunque io sia, Tu mi conosci, Tuo sono, o Dio!


Di Ludovica Mazzuccato


L’Unesco nel proclamare – nel 1999 a Parigi – il 21 Marzo Giornata Mondiale
della Poesia, ha denunciato l’impellente necessità di recuperare il valore sociale della poesia poiché essa è mezzo efficace per risvegliare le coscienze.
Cerchiamo di comprendere che cosa si intende per valore sociale della poesia,
tenendo conto che nel nostro tempo, troppo spesso, quest’arte viene
considerata inutile e le istituzioni non sprecano risorse per promuoverla.
Ungaretti nella poesia Allegria scrive: Sono un poeta / un grido unanime / Sono
un grumo di sogni/ Sono un frutto / d’innumerevoli contrasti d’innesti /
maturato in una serra.
Il confine tra poesia lirica – pura espressione dell’io – e poesia sociale è molto
sottile: infatti nel momento stesso in cui il poeta denuncia un disagio personale,
racconta implicitamente il suo tempo e inizia così la ricerca, la denuncia e la
spinta al cambiamento, perciò la poesia si fa strumento in grado di affermare
l’identità della società moderna e nello stesso tempo diviene coscienza
dell’umanità.
Per spiegare meglio qual è la funzione del poeta
“impegnato” mi basterebbe avere qui in mano una
carrucola e un barattolo di veleno: il poeta impegnato,
come diceva il poeta e critico fiorentino Franco Fortini, è
quello che “avvelena i pozzi”, cioè colui che attraverso
la sua poesia insinua dubbi all’interno degli organismi
sociali e culturali, al fine di scardinare equilibri
precostituiti.
Ma la cosa più straordinaria è che questa funzione
sociale, il poeta, la compie quasi inconsciamente e
senza fare rumore; il poeta è come un fotografo che usa
la parola come polaroid e come zoom la capacità di
osservare. Dunque diviene poesia impegnata anche
quella che denuncia la difficoltà di mandare messaggi
recepibili dalla società.
La poesia è frutto di una forza interiore e non di una decisione, perciò come non
si sceglie di essere poeti non si può decidere di scrivere poesie sociali, ciò
accade spontaneamente interagendo con la realtà. Proprio per questo la poesia
sociale è sempre esistita e ha silenziosamente inciso sulla storia della civiltà.
Facciamo un salto nel tempo. Nel 6° secolo a.C. traviamo un frammento del
poeta Greco Alceo che dice: "Ubriachiamoci, perché è morto Mirsilo, e siamo
tutti contenti".
Mirsilo era un tiranno dell’isola di Lesbo in cui nacque e visse Alceo. I modelli
sociali dell’epoca erano meno complessi di quelli attuali, perciò le conseguenti
forme di denuncia erano inevitabilmente diverse.
Se ci fermiamo nel Medio Evo, nel periodo dei Trovatori scopriamo che anche
loro avevano un ruolo sociale e cioè quello di creare un codice cortese che
richiamasse in continuazione le distanze sociali “zuccherate” dall’arte per
renderle più assimilabili; ci basti ricordare l’amor “di lontano” decantato dal
trovatore nei confronti delle dame, per comprendere l’essenza del concetto di
vassallaggio feudale. Pensiamo più semplicemente alla Divina Commedia e a
Pier Paolo Pasolini.
Proprio quest’ultimo ci ha lasciato una dichiarazione molto importante:
“Non sono un sociologo o un professore, ma faccio un mestiere molto strano
che è quello dello scrittore. Sono direttamente interessato a quelli che sono i
cambiamenti storici, cioè la mia vita consiste nell’aver rapporti diretti,
immediati, con tutta questa gente che io vedo che sta cambiando”.
L’essere un poeta impegnato nasce dal rapporto
diretto con la realtà, e non come accade per lo
studioso che lo basa su una serie di presupposti
concreti che necessariamente lo condizionano.
Ad esempio, nel parlare di guerra uno studioso



affronta il tema analizzando la storia, mentre il
poeta va direttamente in trincea, coglie il dolore,
la sofferenza, sente le mitragliate e i lamenti.
Spesso la ricetta del negativo, per un fattore
psicologico, è più efficace di quella in positivo per
coinvolgere il lettore e quindi portare un effetto
domino nella società.
Come ogni momento ha avuto il suo genere di
poesia sociale, dall’altro lato, è esistita una
forma di censura: questo a dimostrare che il poeta ha delle forti potenzialità di
comunicazione e perciò fa paura, basti pensare a Pablo Neruda, esiliato dal
regime fascista.
Nel nostro tempo la censura è più subdola e si affida al togliere spazio alla
poesia per rendere la sua voce più debole, puntando sulla politica dello
spettacolo visivo che ben si addice al torpore moderno.
Qui entra in gioco la volontà del poeta, che troppo spesso si lascia scoraggiare e
cade nell’errore che sia la società stessa a dove dare un ruolo alla poesia: in
realtà la poesia deve solo riprenderselo quel ruolo e il poeta deve convincersi
che un messaggio sociale ha lo stesso medesimo valore, sia che lo colgano
venti persone sia che lo leggano in duecentomila, perché la funzione linguistica
della poesia non agisce per canoni auditel.
Non sono i numeri che devono interessare il poeta, ma egli deve impegnarsi
piuttosto a mantenere viva la sua autenticità, perché solo la mancanza dello
“spontaneo sentire” ne diminuisce il valore poetico.
Bertold Brecht scriveva: “Se una poesia su un campo di
papaveri ti ha insegnato a guardare meglio i papaveri, ha
già adempiuto ad una grande funzione”.
Dunque, è chiaro che non occorre essere Dante o Pasolini
per scrivere poesie socialmente utili, capaci di dare
speranza, di prestare la voce a chi non ne ha, per dichiarare
ciò che l’omertà nasconde. Basta usare l’inchiostro della
sensibilità: quand’è vera poesia, di per sé può cambiare le
cose!
E credo che si arrivato quello che i greci chiamavano Kairos,
cioè il momento giusto, per iniziare attraverso la poesia a
cambiare questo mondo, come in una sorta di poesia-terapia!
Alcuni scienziati hanno già dimostrato l’influsso benefico dell’arte poetica – sia
nel leggerla che nello scriverla – sulla singola persona: divulgando la poesia, il
mondo intero può godere di questo beneficio.
uhmm! Temo che la nostra società sia irrecuperabile con la poesia , forse a questo punto meglio un meteorite. c&



P. Lavrov (1823-1900): “La società rischia la stasi, quando riduce al silenzio le personalità dotate di pensiero critico. La cultura rischia di scomparire, quando diventa possesso delle piccole minoranze. Senza il tentativo di consolidare il progresso da parte di personalità dotate di pensiero critico, esso non è stabile”.




- Vjaceslav Ivanov (1866-1949): “Il poeta è per destinazione colui che esprime e rinforza i legami Divini dell’essere.Il poeta è il veggente e il creatore dei misteri della vita, senza cui non si può vivere.



Gorkij: E’ assolutamente necessario che la letteratura abbellisca la vita, e appena comincerà a farlo, la vita diventerà più luminosa”.



-Michail Bulgakov: “Eppure lo sai bene che a un uomo senza documenti è severamente proibito di esistere!”



- Charles Baudelaire: “Ho più ricordi che se avessi mille anni. Un grosso mobile a cassetti ingombro di bilanci, di versi, di lettere d’amore, di verbali, di romanzi e di grevi ciocche di capelli ravvolte entro quietanze, nasconde meno segreti che il mio triste cervello. E’ una piramide, un’immensa tomba, contiene più morti di una fossa comune”.



- Jorge Louis Borges: “Innumerevoli uomini nell’aria, sulla terra o sul mare, e tutto ciò che realmente accade, accade a me”.



- Charles Bukowski: “Alla fine, per tutti, è solo questione di aspettare. Si aspetta e si aspetta… l’ospedale, il medico, l’idraulico, il manicomio, la galera, la morte in persona. I cittadini della terra mangiano e guardano la tv e si preoccupano per il lavoro o perché sono senza lavoro, e aspettano”.



- I libri di uno scrittore che si rispetti sono come vasi comunicanti.



- Uno scrittore, più di uno per la verità, ha detto che lo stile è importante, ma comincia a essere importante quando non si ha molto da dire. Lo stile è passeggero, il contenuto no.